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I Mamuthones testo introduttivo

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LE MASCHERE BARBARICINE


Prof. Raffaello Marchi

Da 'IL PONTE' rivista mensile di politica e
letteratura diretta da Piero Calamandrei

n° speciale "Sardegna'  -  anno VII n° 9-10 Settembre/Ottobre 1951. - Pagg. 1354-1361

 

Tra le manifestazioni del folclore e del costume popolare sardo che ho potuto osservare da vicino la più significativa e la più ricca di reminiscenze arcaiche mi è parsa quella che i pastori e i contadini della Barbagia chiamano "sos mamutones", cioè la maschera dei "mamutones" (1), il cui abbigliamento comprende: il fazzoletto del vestiario femminile avvolto intorno al capo sopra la berretta sarda, come un turbante, il corpetto rosso, la camicia e i calzoni bianchi, le sopraccalze e il gonnellino di lana nera del vestiario maschile, la mastruca a rovescio col pelo all'interno. Ora questo vestimento è stato sostituito del tutto o in parte dagli abiti usuali, ma la giacca continua ad essere indossata a rovescio. Il mamutone porta ancora un pesante mazzo di campanacci da bue legato sul dorso e una collana di sonagli più piccoli e leggeri bronzei appesi al collo, e ha sul volto la "Bisera" la maschera nera. (2)

 

NOTE  (1) - Mamutone è una parola di antico suono della quale si potrà forse trovare l'origine nelle primitive lingue del Mediterraneo. Ecco, intanto, alcuni vocaboli sardi coi quali si può fare almeno un confronto: maimone, prima di tutto, che non è sicuramente una semplice variazione di mamutone, e che indica in diversi paesi tanto lo spaventapasseri quanto una specie di fantoccio o idolo bacchico del carnevale popolare; Mamucone, che è il nome di una campagna; sos mamus, cioè i misteriosi abitatori di caverne o forse i geni tutelari in una leggenda che può adombrare un mito; Mamudine, altra località campestre dove ci sono delle caverne favolose; Mamone, altra zona della Barbagia che ha acquistato una triste fama solo nei tempi moderni perché c'è una delle numerose "colonie penali" dell'Isola; Mamujone, infine, che era si dice, prima il nome di una sorgente, poi non si sa da quando il nome originario di Mamoiada, cioè il paese dei Mamutones.

(2) - Per "bisera" l'etmologia da visus o da visum mi sembra semplicistica. Questa parola, che come nome di maschera è usato solo a Mamoiada, riappare in una efficace espressione del linguaggio popolare comune a diversi paesi; "ti ana fattu a bisera", ti ses fattu a bisera", ed ha una ricca variazione di significato: ti hanno ridotto o ti sei ridotto in pessimo stato, fisicamente o moralmente, sei malconcio, sporco, umiliato, canzonato, messo alla berlina o anche ferito, sfregiato. La "Bisera" è di legno di fico o di sughero in altri tempi ben lucidato e levigato; è una maschera tragica non mostruosa. Non ci sono, e si può affermare che non ci siano mai stati in Sardegna, maschere spaventevoli di esorcismo, di sepoltura, di travestimento, di battaglia o di culto.

 

 I mamutones vanno accompagnati dagli issocadores, dai portatori di "soca", di una lunga fune, cioè, che ora è fatta di giunco per il solo uso carnevalesco, ma che anticamente era di cuoio pesante, se doveva servire per prendere al laccio gli uomini, così come serve ancora per prendere le bestie grosse. Il vestito degli issocatores, che non portano né maschere né sonagli è del tutto diverso da quello dei mamutones e viene indicato come una "beste 'e turcu" (vestito da turco): berretta con nastri, larghi pantaloni e camicia di tela, bianchissimi con sfumature azzurrine, il corpetto rosso del vestiario maschile o quello variamente colorato e ornato del vestiario femminile, ma indossato a rovescio come la mastruca dei mamutones, infine uno scialle multicolore attorcigliato alla cintura. Questo costume che ora viene improvvisato e rabberciato alla buona, in altri tempi - prima della guerra mondiale, dicono i vecchi - era bello e ornatissimo; e anche il mamutone, che è diventato piuttosto cencioso senza che i cenci facciano parte della rappresentazione, era un tempo pulito e di nobile aspetto, nonostante il peso dei sonagli e la maschera luttuosa. (1)

 I mamutones e gli issocatores "escono", come dicono nel paese, il 17 gennaio per la prima volta "sa die 'e Sant'Antoni", di quello stesso Santo per cui grandi fuochi votivi si accendono in tutta la Barbagia, ma in altri tempi quest'uscita avveniva già verso l'Epifania o addirittura a Natale. "Senza mamutones non c'è Carnevale", affermano i contadini di Mamoiada: il che vuol dire che è questa la più importante manifestazione e quasi il simbolo del carnevale e allo stesso tempo che l'apparizione dei mamutones è segno di festosità, di allegria, di tempi propizi.

 

NOTE (1) - Nei paesi della Barbagia si possono rintracciare altri tipi di travestimento che richiamano solo apparentemente i mamutones. A Nuoro ci sono i boves, distinto da boes, i buoi, e la parola stessa indica il carattere e forse anche il significato e l'origine della maschera; in altri paesi si trovano i betones, che sono pure figure bovine, i carataos, mascherati bovini, i battileddos, stracciati bovini, i merdules, che può significare tanto buoi sporchi quanto uomini sporcaccioni, i bumbones, ubriaconi, "imbovati" anche essi. Tutti questi travestiti portano corna di bue legate sulla fronte o maschere cornute, collane di campanacci e mastruche; e si son visti spesso due giovanotti aggiogati come buoi e col contadino armato di pungolo appresso. Il loro aspetto è tutt'altro che giocondo, anche perché le loro vesti sono in genere vedovili: hanno indossato il costume nero delle madri o delle nonne e così abbigliati vanno urlando e muggendo e cantando attìtìdos, nenie funebri, intorno al maimone bacchico, che sembra nello stesso tempo un morto che piange, un idolo che si va a sotterrare, un nume o un demone che viene esaltato e glorificato. Per indicare tutto ciò c'è nel sardo di Nuoro il verbo si bovare "imbovarsi" che in origine significava dunque tutte queste cose insieme: identificarsi nell'animale più utile e perciò venerato, immedesimarsi nella madre amata che piange i morti e contemporaneamente immergersi nello stato di euforia e di delirio che lo stesso bove o bumbone si creava. Questa maschera nella quale è facile ravvisare fra l'altro la sopravvivenza di un rito orgiastico, è bellissima in se stessa, quando conserva tutto il suo carattere di cosa arcaica e primiziale, ciò che avviene soltanto nei più isolati paesi della Barbagia, dove non è ancora penetrata la triste provincialità di tutti quei Sardi istruiti che vorrebbero modernizzare, s'intende a modo loro, il costume popolare.

 

 La preparazione della maschera crea un entrain di grande giornata, un fervore operoso, un'atmosfera agitata e fremente che si propaga in tutta la comunità.

Giovani e vecchi, che hanno abbandonato i campi e gli ovili, si danno da fare intorno alle funi, ai costumi, alle maschere che dall'anno avanti erano custodite nella casa di uno dei mamutones come in un ripostiglio sacro. I giovani che per la prima volta devono partecipare alla mascherata sono i più agitati, perché devono finire d'imparare il "passo": chiusi in una stanza o in una cucina, davanti agli anziani che fanno da maestri di danza, vanno avanti e indietro, con l'aria di compiere un rito d'iniziazione. Intorno le donne e i bambini aiutano, pronti e svegli.

Benché si sappia che la mascherata durerà dalle tre del pomeriggio fino alla mezzanotte, i mamutones mangiano e bevono pochissimo perché "il passo" richiede fatica e forse anche perché in origine bisognava digiunare come nei misteri. Quest'origine è certamente antichissima: "est anticoriu", dicono i Sardi delle cose il cui ricordo è perduto nell'oscurità dei tempi.

Cosa strana in quella che dovrebbe essere una carnevalata giovanile i principali partecipanti, cioè i mamutones, sono quasi tutti uomini anziani e fra essi non manca qualcuno di quei vecchi pastori e contadini che conservano la salute e il vigore fino alla più tarda età; gli issocatores sono però quasi tutti giovanissimi.

Ho parlato finora di carnevalata, ma quella dei mamutones è una cerimonia solenne, ordinata come una processione che è allo stesso tempo una danza; una processione danzata, per così dire. I mamutones e gli issocatores che sono tradizionalmente, ma ora con qualche variazione, 12 Mam. più 8 Iss. vanno avanti disposti in quest'ordine:

    M = mamutone

     I  = issocatore

          I            I
 

     I    M        M

          M        M

                M        M    I

     I    M        M

          M        M

               M        M    I
 

          I                I

 

L'ordinamento sembrerebbe del tutto militaresco, specie per la funzione di avanguardia, di retroguardia, di fiancheggiamento e protezione mobile che hanno gli issocatores, ma la parata per quanto battagliera possa essere, non è certamente la miniatura di un esercito Sardo.

La processione si muove lentissimamente, in modo non uniforme perché diversi, ma non discordanti, sono il passo dei mamutones e quello degli issocatores. I mamutones procedono con passi pesantissimi, come se avessero catene ai piedi, curvi sotto il peso dei campanacci, delle vesti di lana grezza, della maschera nera; poi ad intervalli uguali, danno tutti un colpo di spalla a destra, che corrisponde all'avanzare del piede sinistro ed è seguito immediatamente da un colpo di spalla a sinistra, corrispondente all'avanzare del piede destro; a questo movimento in due tempi, eseguito in perfetta sincronia, corrisponde un unico squillo dei campanacci e dei sonaglietti; ogni tanto, ma con il tempo misurato da un certo numero di passi, tutti insieme fanno tre rapidi salti su se stessi, seguiti da tre squilli più alti di tutta la sonagliera, e subito dopo fanno sentire il pesante rumore dei piedi, che si lega al successivo squillo e colpo di spalla.

Gli issocatores si muovono con passi e balzi più agili e sciolti, ma sempre misurati e accordati, per quanto è possibile, con l'andare faticoso dei loro cupi compagni; poi d'improvviso si slanciano come per volare, gettano il laccio fulmineamente e quasi senza rompere la compostezza dei loro atteggiamenti colgono, legano alla vita e tirano a sé come un prigioniero l'amico o la donna che hanno scelto nella folla; mentre compiono questo esercizio per il quale, come pastori che sono generalmente, si allenano sin dalla fanciullezza, essi possono scambiare qualche parola o qualche frizzo con la folla che li circonda, al contrario dei mamutones che restano assolutamente muti per tutto il percorso della processione, come gli iniziati di alcuni misteri pagani; del resto tutto fa credere che anche in questa cerimonia Barbaricina fosse richiesta la taciturnità dei partecipanti.

Specialmente se sono uditi a distanza mentre avanzano gradualmente dal silenzio, gli squilli alti e leggeri dei sonagli, quelli gravi e cupi dei campanacci e i colpi faticosamente cadenzati dei passi creano nello spazio una sonorità amplissima e solenne, piena di oscuri significati, e rendono quasi l'immagine di una presenza o di una potenza più che umana, dominante e traboccante sull'immobilità delle cose per dare un annunzio o un auspicio, enigmatico, ma non infausto e minaccioso. In questo clima di allegoria avanza la processione, sontuosa e tragica, con i mamutones neri e oppressi come schiavi in catene, con gli issocatores slanciati e colorati, simili a figure ritornate per prodigio da tempi lontanissimi.

Fra le tante supposizioni che si possono fare intorno all'origine e al significato dei mamutones scelgo quella che mi sembra la meno fantastica: la processione è la cerimonia commemorativa di un avvenimento storico locale, è un rito austero, vorrei aggiungere, se questa espressione non fosse diventata grottesca con l'uso che se ne fece nel famoso ventennio della vita Italiana.

Non è difficile percorrendo la triste storia dei sardi, trovare un avvenimento che possa aver dato origine alla cerimonia dei mamutones. Dal Medioevo fino alle soglie del secolo scorso i Sardi furono moltissime volte assaliti e tormentati da quei pirati e razziatori mussulmani che essi chiamavano e chiamano ancora "Sos Moros". Ma nell'epoca bizantina, e specialmente in quella immediatamente successiva del governo autonomista dei giudicati, furono i Sardi a vantare qualche vittoria sui saraceni, tanto che a un certo momento, nei primi decenni del IX secolo, riuscirono a catturarne un gran numero, compresi quattro fra i capi o ufficiali più grossi, anzi da queste vittorie e da questa cattura ebbe origine la bandiera Sarda nella quale si vedono effigiati, appunto quattro mori con gli occhi bendati: così almeno affermano alcuni storici del secolo scorso e altri ancora più antichi. Nulla ci impedisce di credere che alcuni di questi mori, fatti prigionieri nel luogo del loro sbarco, a Orosei, a Siniscola, a Dorgali, o fra le stesse montagne della Barbagia nelle quali qualche volta si avventurarono, siano stati condotti a Mamoiada o Mamujone dai pastori che li avevano catturati, magari servendosi in questa azione guerresca del laccio pastorale.

Concludendo la congettura, si può ancora immaginare che i prigionieri siano stati spogliati e rivestiti della mastruca Sarda, con l'aggiunta del turbante legato intorno al capo della maschera nera con il mento appuntito dalla barbetta, e anche dei campanacci per indicare che gli assoggettatori erano finalmente assoggettati e perfino "imbovati"; e i Sardi, poi, abbigliati con i panni dei vinti (cioè con la "veste di turco" o di Moro) in segno di orgoglio e di ammonimento, e conservando la "soha" come emblema guerresco, continuarono a celebrare la loro vittoria per moltissimi anni, fino a perderne il ricordo nell'oblio dei secoli: ma la cerimonia rimase, sia pure relegata fra le mascherate carnevalesche.

I mamutones, così, sarebbero i Mori; e forse cercando fra gli idiomi di quei Maomettani si può trovare qualche appellativo somigliante a mamutone che i saraceni dovettero usare per schernire i Sardi e che i Sardi poi, per ritorsione, regalarono ai loro prigionieri.

Continuando il gioco complicato delle ipotesi, si può anche credere che i mamutones abbiano qualche relazione con i tremila africani inviati da Genserìco in Sardegna, e proprio nel centro della Barbagia, o perché erano ribelli essi stessi, secondo alcuni storici, o perché domassero i ribelli Barbaricini secondo altri.

E qui sarebbe interessante sapere come quelli africani furono accolti dai nostri rudi montanari; più probabilmente ne uscirono malconci, "imbovati" e ridotti a "mamutones"; a meno che non fossero giunti veramente come esuli e come ospiti. Con queste ipotesi siamo nel Medioevo e precisamente tra il V° e il X° secolo e oltre. Ma tutto fa pensare che la mascherata dei mamutones sia più antica del governo autonomista; del dominio Vandalico e di quello Bizantino in Sardegna, anche se in questi come in altri periodi può aver subito una serie di adattamenti e di aggiornamenti, con sovrapposizione di elementi nuovi e contemporanei. Tornando dunque indietro dal Medioevo e scartando le innovazioni, possiamo riconoscere nella mascherata Barbaricina un piccolo dramma ricavato dalla vita vissuta, un mimo profano e realistico, un tentativo e un esordio di ciò che qualche millennio dopo fu chiamato teatro di massa. Se poi indietreggiamo ancora nel tempo, dopo aver sfrondato nuovamente la cerimonia di qualche elemento meno antico e dopo averne messo qualche altro in rilievo, come la danza che certo appartiene alla struttura più arcaica, ci può capitare l'avventura di assistere, in pieno secolo ventesimo, sia a un rito totemico di assoggettamento del bue, sia, in un periodo meno remoto, a una di quelle processioni rituali che i Sardi della civiltà nuragica dovevano fare molto spesso in onore dei loro piccoli numi agricoli o pastorali. In un caso e nell'altro possiamo immaginare, al posto dei mamutones, una torma di buoi veri tutti rimbelliti, inghirlandati e come vestiti a festa che vanno in processione guidati da mandriani Issocatores, e col popolo intorno che magnifica e vezzeggia come sposa novella il suo animale più utile, più prezioso e familiare. Oppure, facendo una piccola variazione, possiamo vedere di nuovo nei mamutones degli uomini "imbovati", ma questa volta dei contadini o dei pastori che si vogliono immedesimare nel bue in segno di maggiore e più mistica venerazione, e si coprono il volto con la maschera bovina, con una di quelle innocenti e ornatissime "teste di bue" che ancora si possono vedere nell'antica Barbagia, cui presento, infatti, un magnifico esemplare.

Da tutto ciò possiamo ricavare l'immagine serena e un po' idillica di un clan o di una tribù patriarcale in cui c'è un'unica classe di uomini ugualmente liberi, laboriosi e solerti di fronte alla venerata torma degli animali domestici; una società libera dal terrore religioso, probabilmente che non usa neanche sacrifizi cruenti (1), ma che limita le sue pratiche rituali a qualche cerimonia propiziatoria e scongiurativa, a modeste magie terapeutiche, forse a piccoli misteri orgiastici e sopratutto alle offerte di succose primizie agricole, e di quei pani ornati, di quelle focacce dolci, di quegli animaletti modellati nel formaggio che i pastori e le donne, negli ovili e nelle case, fanno ancora oggi per dedicarli a qualche Santo protettore o anche, ormai, senza nessun intento dedicatorio.

NOTE  (1) Che i Sardi primitivi usassero fare sacrifizi cruenti non pare cosa accertata e neanche accertabile con le sole testimonianze che se ne hanno e col solo esame dei monumenti protosardi: tanto meno possiamo affermare che essi sacrificassero vittime umane, come s'immaginò qualche scrittore dell'800 dopo aver visto alcuni bronzetti nuragici più fantastici che mostruosi, nei quali aveva identificato simulacri del Moloc fenicio.

Il Sardo non ha creato idoli tenebrosi e terrificanti perché la sua fantasia non ha mai oltrepassato i limiti della concretezza e della chiarezza; ma questa stessa povertà di immaginazione che gli ha impedito di rappresentarsi un sopramondo infernale o celeste, gli ha dato la possibilità di vivere con intensità e pienezza di affetti in una realtà che mostra due volti, come una statua bifronte: da una parte la natura serena e produttiva, e la "bella d'erbe famiglia e d'animali" che egli esalta e magnifica in tutte le sue espressioni artistiche, e ricorda e rimpiange perfino nei suoi canti funebri; dall'altra parte la vita accidentata e problematica, che richiede una tensione continua della volontà e uno spirito rude di vigilanza e di lotta per resistere all'assalto dei nemici, degli invasori, dei razziatori. Da una parte ancora ci può essere l'immagine idillica e floreale di un bue o torello inghirlandato per la sua festa, come espressione di poesia dei contadini che l'hanno foggiata, dall'altra la maschera umana nella quale gli stessi artefici contadini hanno voluto imprimere realisticamente, con l'accentuata contrazione delle sopracciglia, il senso di una fatica affannosa, di un dolore implacabile di un terrore non degli dei, ma degli uomini. Sono questi, appunto, i due aspetti essenziali e preminenti dell'Umanità Sarda (*), che si rilevano dalle testimonianze del passato e dallo studio del presente che ne contiene tutte le impronte e non è meno eloquente.

(*) Le due "maschere dei mamutones" che presento (e anche quella bovina) sono antichissime, e furono riprodotte su modelli ancora più antichi; quasi tutte quelle che ho potuto vedere hanno le sopracciglia contratte come per dolorosa meditazione, ma non tutte hanno il mento a cuneo che si ritrova pure in maschere del periodo ellenistico. Non mi pare che ci siano analogie di nessun genere, invece, fra le maschere di legno barbaricine e quelle Puniche di terracotta che furono scoperte nelle rovine della città di Tharros.

 

RAFFAELLO MARCHI


Da 'IL PONTE' rivista mensile di politica e
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