Testo
di Antonio Greco
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"...Il tempio solitario sta appollaiato come un nido d'aquila
sull'orlo di una rupe a piombo sul fiume Frida. Grazie alla posizione e alla altitudine il
panorama verso l'interno è splendido, specie verso sera, quando la luce solare si attenua
in lontananza e le montagne si rivelano, catena addietro catena, le creste disegnate l'una
contro l'altra in morbide gradazioni di malva e di verde. Lo scenario si conclude, al
fondo, con i grandiosi massicci del Sirino e dell'Alburno in lontananza. Tutto il resto è
foresta interrotto qua e la dalla roccia, ma vicino, ai piedi di un precipizio, si apre
spazioso un verde prato che ora è coperto di tende e baracche pronte per la festa di
domani il cui frastuono è già in pieno sviluppo..." Così descriveva il luogo Norman Douglas durante il suo viaggio nel Mezzogiorno
d'Italia nei primi anni del secolo. Infatti su un criminale roccioso, alle pendici
settentrionali del Pollino,
tra le valle del fiume Frido, il Timpone Canocchiello e il Timpone di Mezzo, si emerge il
santuario della Madonna di Pollino a metri 1537 di altezza. Si tratta di una semplice
costruzione a tre navate dei primi decenni del 1700 edificata, secondo la tradizione
popolare, nel sito dove ad un pastore apparve la Vergine e dove pare fosse stata nascosta
una statua della Madonna sottratta alla campagna iconoclasta.
Il complesso del santuario comprende oltre all'edificio della chiesa e ai suoi annessi,
anche alcuni locali rustici per l'alloggio dei pellegrini. Ogni anno i primi giovedì,
venerdì e sabato di luglio vi si svolge la tradizionale festa durante la quale migliaia
di persone si accampano nei pressi del santuario con tende oppure costruendo delle capanne
con rami e frasche.
Già nei giorni precedenti la festa vi è l'arrivo dei pellegrini, e così il luogo
deserto e selvaggio si popola della turba dei devoti, che lasciano le loro attività per
compiere il "viaggio della speranza", carichi di tutto l'occorrente per rimanere
lì qualche giorno, compresi i doni alla Madonna.
Il pellegrinaggio, con la dura prova della fatica rientra
nella logica della "Do ut des" la fatica del viaggio in cambio
di protezione e rassicurazione. Appena giunti ai piedi della montagna, luogo dove si
riuniscono i pellegrini, alcune comitive si incontrano con altre, lasciate
un anno prima e insieme affrontano l'ultima parte del viaggio. Dalle prime luci
dell'alba la montagna accoglie l'eco di canti e suoni. Lungo il
sentiero, che conduce alla sommità, spesso i pellegrini
effettuano soste per riposarsi ed imbandire banchetti. Accendono fuochi e iniziano ad
arrostire carne di capra. Douglas scriveva "... si accendono i fuochi sotto improvvisati ripari e si
divora una pazzesca quantità di cibo, secondo l'uso prescritto in questa occasione si
mangia per devozione".
Al santuario della Madonna del Pollino, nel passato, il
consumo della carne di capra oltre a costituire un legame con l'economia pastorale del
luogo, significava interrompere la monotonia e l'uniformità di un regime alimentare al
limite della sopravvivenza. Oggigiorno il notevolissimo consumo di carne caprine avviene
soprattutto per un esplicito richiamo alla tradizione alimentare.
Inerpicandosi, intere famiglie si dirigono verso il santuario, ballando e suonando canti
rivolti alla Madonna, accompagnati dagli strumenti più tradizionali, come l'organetto e
la zampogna. Le parole dei canti, eseguiti alla partenza, durante il cammino e all'arrivo,
esprimono il desiderio di andare ad incontrare la Madonna, la fiducia nel cammino, il
fiducioso abbandono della casa sicuri che su di essa avrebbe vegliato la Vergine, la
impetrazione della "grazia dell'anima" e la sicurezza di essere accompagnati
dalla protezione divina per tutta la vita. Nei canti popolari è anche espressa la
teologia mariana, come insegna la chiesa: Maria come madre di Dio e madre degli uomini,
Maria regina, Maria mediatrice di tutte le grazie. Attraverso i canti il popolo esprime la
sua fede, l'amore, la devozione alla Madonna, la gratitudine per la sua potentissima
intercessione.
In vista del santuario la massa dei fedeli non accenna a diminuire le
manifestazioni di gioia. Prima di entrare in chiesa, i pellegrini compiono
tre giri intorno al santuario. Alcuni li compiono senza nemmeno conoscere
il motivo, altri solo perché lo facevano i loro padri (questa pratica nel 1998 è stata
molto poco seguita n.d.r.).
I canti e i balli sfrenati non cessano ne davanti alla porta di
ingresso né dentro la chiesa. Si entra così e si arriva ai
piedi del palchetto dove è posta la Madonna. Qui alcuni si inginocchiano, guardano,
mandano baci alla Vergine, toccano e baciano gli orli della veste, restano silenziosi e in
preghiera e a lungo, vi è un passamano di fazzoletti che toccano la statua. Il fazzoletto
se lo passano sul volto, quasi per asciugarsi il sudore.
Questo fazzoletto con gli stessi gesti tocca il viso di tutti i familiari. Altri,
con grida isteriche, acclamano la Madonna, offrono il denaro, cantano, ballano a
lungo accompagnati dagli immancabile organetti e tamburelli, talvolta anche dalle zampogne
(nel 1998 ho potuto constatare che la pratica del ballo in
chiesa si è notevolmente ridotta n.d.r.).
Alcune mamme alzano i loro
bambini in segno di dono, facendo poi baciare al piccolo la Madonna. Non manca chi arriva
davanti alla Vergine con un parente malato, un bimbo handicappato e chi, iniziando un
silenzioso discorso con la Divinità, racconta una storia, la storia di un dolore lungo,
ma sopportato con pazienza e speranza, che ora diventa la storia di una grazia
ricevuta. La statua non rimane per tutto
l'anno al santuario. Durante l'inverno resta nella chiesa madre di San Severino Lucano.
Solo la prima domenica di giugno viene portata in processione al santuario. Dopo il
periodo estivo, la seconda domenica di settembre, viene invece riportata, sempre in
processione, a San Severino Lucano dove resterà per il resto dell'anno.
Dopo la visita i pellegrini si dirigono verso la grotta
dove, secondo la leggenda, fu rinvenuta la cassa contenente la statua della Madonna. La
grotta è formata da una piccola cavità, dove si può accedere solo in posizione curva.
Essa costituisce una tappa obbligata per i fedeli nella quale si fermano in preghiera o
depongono un cero votivo. Successivamente si cerca il posto più idoneo per la
costruzione del rifugio dove passare la notte. Questo, costruito con i rami degli alberi,
(negli ultimi anni si tende a non usar più i rami degli alberi ma teli e supporti portati
da casa n.d.r.) deve raccogliere i pellegrini durante i due giorni di permanenza in
montagna. Con la doppia funzione di preservarli dal freddo della notte e dagli raggi del
sole durante il giorno. Durante la notte tra il venerdì ed il sabato intercorre una
atmosfera fastosa tra il santuario e il suo esterno.
Nella chiesa, canti permeati di un sano misticismo e balli
continuano ad allietare la veglia. I più stanchi dal viaggio, invece, si lasciano
assopire da un sonno confuso e contorto in un angolo riparato della chiesa.
Il legame delle popolazioni meridionali con la cultura greca e romana è facilmente
riscontrabile. L'atto di dormire per terra richiama l'incubatio rito
diffuso in età romana, che consisteva nell'addormentarsi per terra in posizione supina,
nei santuari dedicati a forze taumaturgiche le quali, nel corso della notte, attraverso i
sogni indicavano la terapia da seguire. I pellegrini che non rimangono in chiesa a pregare
o a riposare, sono fuori a mangiare nelle baracche o a danzare nei diversi
spiazzi.
Il sabato della festa, alle prime luci dell'alba,
iniziano le celebrazioni. La messa solenne a tarda mattinata consente agli ultimi
pellegrini, che per vari motivi non hanno potuto essere presenti dal giorno prima, di
partecipare alla liturgia sacra. Dopo la messa solenne, la statua della Madonna viene
portata all'esterno della chiesa. L'uscita è anticipata da alcune donne che recano in
testa i cinti, ovvero candele disposte in modo da formare
una composizione vario genere, di solito la struttura di un tempio. Le donne precederanno
la statua in tutto il suo percorso processionale.
Fuori dalla chiesa la statua viene posta all'incanto, per l'aggiudicazione del privilegio
di condurla in processione. All'incanto partecipano tutte o quasi le comunità ricadenti
sul confine calabro-lucano che durante l'anno raccolgono, con l'aiuto anche di alcune
istituzioni, somme di denaro per acquistare simbolicamente la Madonna posta
all'asta. La comunità, che raccoglie la cifra più consistente e la offre, vince la
competizione (nel 1998 la cifra dell'incanto è stata di circa sei milioni di lire
n.d.r.). Alla fine, però, durante il percorso processionale, sacralizzatore del luogo
circostante al santuario, si elimina ogni sentimento campanilistico, anche le comunità
che non hanno vinto l'asta hanno i loro diritti, possono continuare comunque il loro
rapporto devozionale con la Vergine.
Inizia così la processione che Douglas descrive
manifestamente "... snodandosi come
un serpe variopinto fuori dalla chiesa , si attorcigliò lungo le rientranze del sentiero
per poi allungarsi libera in splendide curve sul prato soleggiato, salutato dallo scoppio
dei mortaretti."
La serpeggiante processione tocca le due estremità della
montagna che coincidono con i due versanti Calabrese e Lucano.
Tutto il movimento si svolge in una atmosfera di musiche
canti e balli, sinonimo di gioia, di esplosione di amore verso la Madonna. Questi sono
anche gli ultimi momenti di vicinanza alla divinità perché alla fine della processione,
come in un baleno, la festa termina. Inizia il rientro a casa.
Quando tutti i pellegrini hanno lasciato il luogo, al santuario montano ritorna la
tranquillità di sempre, tutti gli elementi fastosi che avevano colorato i tre
giorni festivi scompaiono, il santuario riprende il suo aspetto quotidiano che rimane
comunque luogo e dimensione di preghiera, di "appuntamento spirituale".
La montagna ritorna al suo antico silenzio. |